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Международное Евразийское Движение - Testi |Dughin | Paradigma della fine | 1999
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    Archivio de EURASIA a cura di Martino Conserva original text

    Aleksandr Dughin

    IL PARADIGMA DELLA FINE

    L'ultimo grado di generalizzazione
    Il vero Marxismo
    Il paradigma geopolitico della storia
    La guerra delle nazioni
    Lo scontro delle religioni
    L'ultima formula

     
     
    L'ultimo grado di generalizzazione 


     L’analisi delle civiltà, delle loro correlazioni, del loro confronto, del loro sviluppo, della loro interdipendenza, è un problema talmente difficile che, a seconda del metodo impiegato e del livello di approfondimento della ricerca, è possibile ottenere risultati non solo differenti ma assolutamente opposti. Pertanto, persino per ottenere la più approssimativa delle conclusioni, si deve applicare il metodo riduzionista: vale a dire, ridurre la varietà dei criteri ad un unico modello semplificato.

    Il marxismo preferisce il semplice approccio economico, che diventa il sostituto ed il comune denominatore di tutte le altre discipline. Lo stesso compie (seppure in modo meno esplicito) il Liberalismo. 

    La geopolitica, che rispetto alla varietà degli approcci economici è un metodo meno conosciuto e meno popolare, ma non meno efficace ed evidente nello spiegare la storia delle civiltà, suggerisce un metodo di riduzione qualitativamente diverso. Un altra versione del riduzionismo sta nelle diverse forme di approccio etico, che comprende le “teorie razziali” come suo aspetto estremo. 

     Infine, le religioni suggeriscono il loro proprio modello riduzionista della storia delle civiltà. 

     Questi quattro modelli sembrano essere i modi più famosi di generalizzazione; sebbene esistano diversi altri modelli, è ben difficile che questi possano reggere il confronto con i primi per popolarità, evidenza e semplicità. 

     Dato che la nozione di “civiltà” presenta una scala estremamente ampia – forse la maggiore scala che la coscienza storia dell’umanità sia in grado di generare – i metodi riduzionisti dovrebbero essere estremamente approssimativi, lasciando da parte dettagli, fattori intermedi e di minore importanza. Sono civiltà quelle aggregazioni umane che hanno vastissimi confini spaziali, temporali e culturali. In base alla definizione, le civiltà dovrebbero possedere una dimensione significativa – dovrebbero durare a lungo, controllare rilevanti regioni geografiche, generare stili culturali e religiosi (ideologici, a volte) di particolare espressività. 

     Alla fine del secondo millennio A.D., un qualche rendiconto della storia delle civiltà sembra rendersi di per sé necessario, in quanto la data stessa suggerisce il raggiungimento di una soglia, di un limite. E da qui sorge l’idea di riportare i differenti indirizzi di analisi delle civiltà all’unico, universale paradigma. Certo, il grado di semplificazione, approssimazione e riduzione sarà qui ancora maggiore, rispetto ai quattro modelli riduzionisti sopra menzionati; ma questo non dovrebbe essere considerato un ostacolo insormontabile. Qualsiasi generalizzazione (felice o meno, giustificata o meno) necessariamente avrà la meglio della critica più aspra, provenga questa da “iperspecialisti” che abbiano da tempo dimenticato i princìpi primordiali nel turbine dei dettagli, o dai seguaci (consapevoli o istintivi) di una qualche altra forma generalizzazione, che si limitino pragmaticamente ad usare le contraddizioni minori per screditare la totalità. 

     Comunque sia, tematiche quali la “Fine della Storia” (Francis Fukuyama), lo “Scontro delle Civiltà” (Samuel Huntington), il “Nuovo Ordine Mondiale” (George Bush), il “Nuovo Paradigma” (New Age), il “Tempo del Messia”, la “Fine dell’Utopia”, il “Paradiso Artificiale”, la “Cultura dell’Apocalisse” (Adam Parfrey) acquistano popolarità maggiore via via che ci approssimiamo al confine del secolo – al confine del millennio. E queste tematiche si avvalgono tutte, in grado maggiore o minore, di complessi modelli riduzionisti, che sono a loro volta il frutto del far confluire assieme metodi più ristretti – anzitutto i quattro sopra citati. 
     
     
     

    Il vero Marxismo 


     La dottrina di Marx è stata talmente popolare nel XX secolo, che è realmente arduo parlarne – specie in Russia, dove il Marxismo è stato proclamato per molti decenni ideologia ufficiale. La questione si presenta allo stesso modo, morboso e saturo di allusioni e connotazioni, anche per gli intellettuali occidentali, per i quali dispute e dibattiti su Marx furono il tema centrale del discorso filosofico e “culturologico”. Nessuno ha tanto influenzato la storia moderna quanto Marx – è difficile menzionare un pensatore a lui comparabile per fama, popolarità e livello di circolazione editoriale. 

     Ma l’eccessivo sfruttamento del Marxismo ha condotto, ad un certo momento, al risultato contrario – le sue idee, le sue dottrine apparvero a tal punto universali che da qual punto in avanti si smise di comprenderle, si tramutò il Marxismo in un “dogma”, in un gadget, in un oscuro cliché, da usare ed interpretare in modo assolutamente arbitrario. I Marxisti Ortodossi bloccarono la riflessione in quella sfera, canonizzarono i punti di vista di Marx persino in quelle sfere dove essi erano stati palesemente contraddetti dal corso stesso della Storia (economica come politica). Eretici e revisionisti ampliarono eccessivamente il contesto del Marxismo, includendovi idee e teorie che, rigorosamente parlando, non hanno relazione con esso. In breve tempo arrivammo alla paradossale situazione per cui il pensatore più popolare e famoso era divenuto inintelligibile alla maggior parte delle persone. Alla fin fine, il nodo gordiano del Marxismo fu troncato tout court con il dichiarare filosofia ed economia politica Marxista una “delusione, e con il conseguente, universale abbandono dell’ideologia. 

     L’eccesso di lodi e dogmatismo si trasformò analogamente in eccesso di sovvertimento e relativizzazione. Con la stessa rapidità, quell’imponente edificio del Marxismo, cui tutti avevano guardato, fu improvvisamente liquidato in ogni sua parte. E i più zelanti liquidatori furono le forze responsabili della creazione del culto alienante e dogmatico di Marx. In ogni caso, al giorno d’oggi le idee di Marx non hanno praticamente sostenitori, ma non per questo esse sono meno profonde e sorprendentemente esatte nel chiarire determinate questioni. Sta realizzandosi una situazione in cui il Marxismo, avendo a poco a poco perduto la totalità dei suoi seguaci, può essere applicato da forze totalmente differenti, che si erano tenute a distanza dal Marxismo al tempo in cui dominava la mischia intellettuale e politica attorno al nome e alle idee di Marx. 

     Questa distanza, questo disimpegno da questo o quello schieramento Marxista nella precedente fase della storia intellettuale, consentono di riscoprire Marx, di leggere il suo messaggio in maniera prima impossibile. E’ assolutamente ovvio, che la gran parte delle opinioni culturali e storiche di Marx è irrimediabilmente obsoleta, e che vari aspetti della sua dottrina dovrebbero essere respinti in quanto inadeguati. Tuttavia, è più importante considerare con imparzialità quegli aspetti della sua dottrina che, viceversa, hanno serbato intatta la loro attualità, e che possono esserci di aiuto nel comprendere gli aspetti principali del paradigma storico nella sua chiave economica, sociale e politica. E in questo nessuno può essere paragonato a Marx. E’ precisamente lui ad aver formulato il paradigma riduzionista più capace della storia, in grado di spiegarne il processo essenziale e gli orientamenti con sorprendente affidabilità, evidenza e persuasività. Pertanto, non è fuori luogo ricordare i princìpi Marxisti di comprensione della formula storica. L’approccio marxiano alla storia è dialettico, presupponendo lo sviluppo dinamico delle correlazioni fra i principali soggetti del divenire storico. Insieme a questo, il fondamentale dualismo di quei soggetti è visibile attraverso la sua teoria, ne predetermina le dialettiche, costituisce il suo contenuto e la base etica del suo svolgersi. 

     Questi due soggetti furono definiti da Marx come Lavoro e Capitale. Marx considerò il Lavoro come l’impulso creativo costruttivo, come l’asse centrale della vita e del movimento, come un principio positivo, solare. Impiegando espressioni darwiniane immaginifiche, il Marxismo afferma che “il Lavoro creò l’Uomo dalla scimmia”. Il punto è che l’elemento creativo è quello stesso vettore di esistenza che trasforma il processo dallo stato orizzontale, interno, a quello verticale, volizionale. 

     Il Lavoro, secondo Marx, è un principio positivo, luminoso. Estraneo all’etica della Bibbia, dove il lavoro rappresenta il risultato della Caduta e di una sorta di dannazione di Adamo per aver violato i comandamenti divini (una simile attitudine nei confronti del Lavoro è caratteristica anche di altre tradizioni religiose), Marx senza dubbio proclamò il carattere sacro, integralmente positivo del Lavoro, la sua natura primaria, il suo carattere di valore in sé, autosufficiente. Ma nel suo stato primordiale il Lavoro, in quanto impulso primario allo sviluppo e punto di partenza della Storia (al pari dell’Idea Assoluta di Hegel) non realizza ancora se stesso, non riesce a conseguire la completezza della sua inerente natura luminosa. 

     Per raggiungere ciò, è necessario il lungo e complesso processo di movimento attraverso i labirinti della dialettica storica. Solo dopo prove tremende e terribili fatiche, il Lavoro sarà in grado di pervenire al suo stato trionfante, vittorioso nel corso di una serie di autonegazioni dialettiche, divenendo completamente cosciente, felice e libero. Secondo Marx, la storia intera è racchiusa nell’intervallo fa il “comunismo delle caverne” – lo stato primordiale, nel quale il Lavoro era libero, ma irrealizzato e non universale – e il comunismo puro e semplice, quando esso fa ritorno al suo carattere luminoso, autosufficiente, avendo percorso il labirinto dell’alienazione ma essendo infine giunto alla sua estensione totale, universale e pienamente realizzata. L’uomo divenne uomo dopo essersi calato nell’elemento del Lavoro. Ma diviene uomo completo solo dopo che sia capace di realizzare il valore assoluto di quell’elemento, liberandolo da tutte le impurità del principio negativo – ossia nell’epoca del comunismo. 

     Qual è dunque, secondo il Marxismo, il polo negativo? Che cosa si oppone alla natura luminosa del Lavoro? 

     Marx lo chiama “sfruttamento”, e istintivamente svela la forma suprema e perfetta di tale sfruttamento nel Capitale. Capitale è per il Marxismo il nome del male del mondo, del principio oscuro, del polo negativo della storia. Fra il “comunismo delle caverne” dell’uomo al suo primo apparire, e il comunismo finale, sta il lungo periodo dello “sfruttamento”, dell’alienazione del Lavoro dalla sua propria essenza, delle prove e privazioni del sole attraverso i labirinti dell’oscurità. E’ questa, in senso proprio, la sostanza della storia. 

     Il Capitale non compare improvvisamente, esso si palesa gradualmente via via che gli strumenti ed i meccanismi dello sfruttamento dell'elemento luminoso del Lavoro da parte della forze oscure degli usurpatori si perfezionano. Lo sviluppo del Lavoro contribuisce allo sviluppo dei modelli di sfruttamento. 

     La complicata dialettica delle forze produttive e della costante dinamica dei rapporti di produzione conduce entrambi i poli della storia economica lungo la spirale dello sviluppo. Gli scopi opposti, gli scopi ed i vettori di attività dei lavoratori e degli sfruttatori promuovono oggettivamente lo sviluppo di un unico processo, politico ed economico. I rapporti di produzione sono il modello dell'interazione fra quella struttura di base sottomessa ed il principio dello sfruttatore. L'elemento del Lavoro è l'elemento dell'abbondanza. Il Lavoro produce sempre qualcosa di più rispetto a quanto sia necessario per soddisfare le necessità vitali dei lavoratori stessi. In questo fatto sta l'essenza del suo principio positivo, creativo, luminoso, solare. Il lavoro produce un plus. Questo plus, questo surplus viene sottratto dal polo oscuro, il parassita della storia. Lungo l'intero corso della storia economica, i rapporti di produzione sono ridotti all'espropriazione di qualche sostanza dagli agenti del plus da parte degli agenti del minus. Ma sin dai primi stadi della storia umana è possibile svelare alcuni caratteri specifici delle due entità, caratteri che verranno a scontrarsi con tutta la loro potenza solo alla fine della storia stessa. 

     Il lavoratore primordiale è il germe del proletariato industriale. L'élite tribale è il germe del Capitale. Con il trascorrere dei millenni della storia umana, i due soggetti del dramma mondiale pervengono al loro stato di massima purezza, di piena realizzazione, nel quale si riassumono tutti gli stati precedenti. Dal sistema della proprietà schiavista, poi attraverso i rapporti feudali, si viene formando il capitalismo, lo stadio più importante, ed in molti rispetti escatologico, della dottrina Marxista. Qui tutta la complessità del quadro sociale è ridotta ad un dualismo di chiarezza assoluta - il proletariato, in quanto classe, è l'incarnazione del risultato dello sviluppo economico e storico dell'elemento Lavoro, e la borghesia concentra in sé il polo assoluto, più perfetto, completo e cosciente del puro sfruttamento. Il polo luminoso conclude la sua tragica traversata lungo i labirinti dell'alienazione, il polo oscuro si avvicina alla sua completa vittoria. Il Proletariato e il Capitale. Il Puro Lavoro, ossia il proletariato che non ha proprietà ("tranne le proprie catene") - il Puro Capitale, trasformatosi da ciò che è posseduto a ciò che possiede, nell'elemento della Pura Alienazione, dello Sfruttamento Assoluto. Marx riduce tutti i restanti problemi - storici, filosofici, culturali, sociali, scientifici e tecnici - a questo schema politico ed economico, considerandoli come derivati e secondari rispetto al paradigma fondamentale. 

     Inoltre, Marx afferma che la seconda rivoluzione industriale, con la quale il capitalismo perviene al suo apice, è il punto di svolta della storia mondiale. Da quel momento in avanti, ambedue i soggetti storici - Lavoro e Capitale - vengono ad essere non più i semplici burattini della logica storica obiettiva, ma i suoi soggetti coscienti ed autonomi, capaci non soltanto di piegarsi alla necessità, ma anche di guidare i più importanti processi storici, di provocare,  progettare, affermare il proprio volere autonomo. Non si tratta di un individuo o di un gruppo, ma di un soggetto di classe. Il proletariato, divenuto classe, assume la personalità storica del Lavoro, l'erede del plus in tutti i suoi stadi di sviluppo. Il Capitale incarna il mondo del minus, della sottrazione, dell'alienazione, ma soltanto nel suo stato assoluto, libero, volizionale, personale. Di conseguenza è capace di progettare la storia, di guidarla. A questo stadio, Lavoro e Capitale accedono al livello di idea o ideologia, esistono da qui in avanti non solo nella sostanza oggettiva della realtà, ma anche nello spazio ideologico del pensiero. 

     L'ingresso di queste due personalità nella sfera del pensiero rivela pienamente il dualismo essenziale anche di questa sfera - esiste il pensiero del Lavoro ed il pensiero del Capitale, esiste l'ideologia del plus e quella del minus. Entrambe queste ideologie ricevono il massimo possibile di indipendenza e libertà, e l'intera sfera della coscienza si trasforma da sfera della riflessione a sfera della creatività e della progettualità. L'ideologia del Lavoro (la filosofia proletaria) conserva anche qui il suo carattere creativo: essa crea il progetto. L'ideologia del Capitale (filosofia borghese) resta essenzialmente negativa - essa usurpa e ri-produce il vuoto, concettualizza l'immobilismo, congela la vita, postula il momento presente e nega il fine. 

     La formula suprema e perfetta del Capitale è, secondo Marx, l'economia politica liberale inglese - specie il "libero cambio" ed il "mercato universale" di Adam Smith e dei suoi seguaci. Ma al di là di questa forma più evidente, esiste la varietà delle più sottili, complicate, complesse costruzioni ideologiche che celano il letale, parassitico respiro del Capitale. La filosofia borghese diviene da qui in avanti la più efficace arma dello sfruttamento, la sua forma superiore. 

     Ma, a controbilanciarla, viene formandosi il corpo dottrinario della classe lavoratrice stessa, i contorni principali dell'ideologia comunista si fanno sempre più chiari. Marx considerò la sua stessa opera precisamente in questo contesto. Presentiva che le sue idee avrebbero formato la "filosofia proletaria", che sarebbero divenute il più importante strumento del Lavoro nel corso della sua escatologica battaglia finale contro l’avversario primordiale. 

     Marx proclamò una sorta di "Vangelo del Lavoro". Affermò che il Lavoro, giunto al punto di svolta della sua storia politica ed economica, divenuto il Puro Lavoro, avrebbe dovuto temporaneamente realizzare se stesso e la sua storia, iniziare a svolgere la funzione di uno solo dei due poli teleologici della storia, svelare il meccanismo dell'inganno e dell'alienazione alla base di ogni sfruttamento, smascherare la funzione negativa, vampiresca, di minus, del Capitale (con la spiegazione della produzione di plusvalore e della logica dell'espropriazione) e condurre a termine la Rivoluzione proletaria, che avrebbe rovesciato il Capitale, gettandolo nell'abisso della non-esistenza, e sradicato il male del mondo. 

     Dopo la breve fase caratterizzata da una formazione transitoria (socialismo), sarebbe sorto il "Paradiso in Terra", il Lavoro si sarebbe completamente liberato del principio oscuro. Ecco delineata l'essenza del modello politico ed economico Marxista. Un modello - occorre ammetterlo - talmente persuasivo e solido, che non sorprende che le idee di Marx abbiano attratto una così grande massa di persone del ventesimo secolo, divenendo una sorta di religione, nel cui nome sacrifici senza precedenti sono stati compiuti. 

     In che modo lo scenario di Marx si è realizzato nella pratica? Cosa vi era in esso di inesatto, che cosa è stato smentito? Come va considerato il contenuto della storia politica ed economica del nostro secolo, se vogliamo restare nell'ambito della filosofia Marxista della storia, quale l'abbiamo tratteggiata in precedenza? 

     Alla soglia del terzo millennio, possiamo affermarlo, il Capitale ha sconfitto il Lavoro, si è dimostrato capace di sottrarsi alla Rivoluzione imminente, dissolvere la compiuta manifestazione storica del Lavoro quale soggetto rivoluzionario, sventare il pericolo del concentrarsi della filosofia proletaria in una concezione del mondo unitariamente e compiutamente strutturata. E tuttavia il Lavoro, ispirandosi a Marx, ha tentato di ingaggiare "l'ultima e decisiva battaglia" con il suo primordiale nemico. Il Lavoro è stato sconfitto, ma il fatto della grande battaglia non può essere negato. Questa battaglia costituisce niente meno che il contenuto principale della storia politica e sociale del ventesimo secolo. Tutto è avvenuto secondo la previsione di Marx, eccetto l'esito diverso, e sfavorevole. Il male del mondo ha vinto. Il minus si è rivelato più forte e più scaltro del plus. Il Capitale, assunta la forma di soggetto, ha dimostrato la sua superiorità rispetto al Lavoro, anch'esso fattosi soggetto. 

     Come si sono svolte le cose nella vita reale? 

     La prima non corrispondenza rispetto all’ortodossia marxista si è verificata al momento della rivoluzione socialista del Grande Ottobre. Questo evento è divenuto il punto chiave della storia post-Marxista. Da un lato, la sollevazione dei marxisti-bolscevichi ha dimostrato che le idee di Marx sono vere e confermate dalla pratica concreta. Il partito dei lavoratori, proletario, comunista, è stato capace di realizzare la Rivoluzione, rovesciare il sistema dello sfruttamento, distruggere il potere del Capitale e della classe borghese, costruire lo Stato Socialista, fondandosi sulle tesi principali dello stesso Marx. Il Marxismo è stato proclamato ideologia dominante di quello stato. In altre parole, l'esperienza russa ha offerto la prima conferma della giustezza ed efficacia della dottrina rivoluzionaria Marxista. D'altro canto, nel corso della rivoluzione russa si è manifestata una circostanza più importante - la rivoluzione proletaria vincente non si è avuta né dove, né quando Marx aveva previsto. L'errore spaziale e temporale non è stato di natura quantitativa, ma qualitativa. Pertanto, questo errore è carico di implicazioni enormi sul piano della dottrina. 

     Marx supponeva che il compiuto costituirsi del proletariato in classe e la sua formazione quale partito rivoluzionario sarebbero avvenuti nel Paese più sviluppato dell'Occidente industriale, vale a dire precisamente là dove il meccanismo borghese aveva raggiunto il suo più perfetto stadio di sviluppo , e il proletariato industriale rappresentava la dominante sociale di tutte le forze produttive. Marx pensava che la rivoluzione proletaria avrebbe immediatamente provocato una reazione a catena in altri stati e società. Marx era certo del fatto che in altri luoghi, spaziali e temporali, non si sarebbero potute avere rivoluzioni socialiste, in quanto entrambi i soggetti storici - Lavoro e Capitale - non avevano ancora raggiunto quello stadio nel quale è possibile la piena e adeguata transizione del materiale nell'ideale, del soggettivo nel cosciente, della fase estrema di quello sviluppo fondamentale nella forma adeguata di sovrastruttura. L'esperienza russa dimostrò che la rivoluzione socialista era possibile ed ebbe successo in un Paese a capitalismo arretrato, molto prima del conseguimento su vasta scala della seconda fase della rivoluzione industriale, in un Paese con una quota di proletariato industriale insignificante; e dopo la vittoria dei Bolscevichi, il processo rivoluzionario non si estese affatto all'Europa, ma rimase entro i confini dell'ex Impero Russo. Il Lavoro si era costituito in partito politico ed aveva sconfitto il Capitale in condizioni totalmente diverse da quelle previste da Marx. 

     In altri termini, l'evento storico della Rivoluzione in Russia  ha corretto la teoria del suo padre spirituale. Il senso di questa correzione storica viene colto al meglio nella ricerca sul fenomeno del nazional-bolscevismo, analizzato in dettaglio da Mikhail Agursky. La rivoluzione proletaria in Russia ha dimostrato che la vittoria del Lavoro sul Capitale è possibile e reale solo a condizione che, al compimento di questa azione politica ed economica, dell’aggiungersi di altri elementi, prendano parte elementi di dimensioni differenti - nazional-messianismo (profondamente sviluppato fra gli Ebrei russi e dell'Europa orientale), tendenze chiliastiche, mistiche, settarie (sia del popolo comune, sia degli intellettuali), lo stile cospirativo, Blanquista, tipico di un Ordine, del partito rivoluzionario (Leninismo, più tardi Stalinismo). Fra parentesi, un analogo insieme di fattori, sebbene meno radicale, assicurò la vittoria di altre forze anticapitalistiche, che furono capaci di realizzare rivoluzioni semi-socialiste - il fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco. 

     In altre parole, il Marxismo ha mostrato di essere storicamente praticabile solo nella sua versione eterodossa, nazional-bolscevica, alquanto differente dalla concezione rigorosa dello stesso Marx. Esso si è inverato solo in combinazione con altri fattori - più specificamente, quando la dottrina politico-economica di Marx si è combinata con tendenze culturali e religiose molto dissimili rispetto al discorso culturale e storico dell’autore del “Capitale”. 

     In contrasto con la vittoriosa realizzazione storica del Marxismo nell'operato dei nazional-bolscevichi, nello stesso Occidente borghese la transizione al socialismo non ha avuto luogo  nel momento culminante dello sviluppo capitalistico, ossia alla soglia della terza rivoluzione industriale (e ciò si è avuto negli anni '60 e '70 del ventesimo secolo). Mentre la versione eterodossa del Marxismo si è rivelata praticabile, la versione ortodossa è stata rigettata dalla storia. Il capitalismo, nella sua forma più sviluppata, è stato in grado di superare la fase di sviluppo per sé più pericolosa, di domare la minaccia della ribellione proletaria e di procedere verso un livello di esistenza persino più perfezionato - mentre l'altro soggetto antagonista, il proletariato, in quanto classe e in quanto partito escatologico rivoluzionario del Lavoro, è stato abolito, disperso, volatilizzato nel complesso sistema senza alternative della Società dello Spettacolo (Guy Débord). In altri termini, la società post-industriale, fattasi realtà, ha dimostrato definitivamente che le profezie di Marx - intese nel loro senso letterale - non si sono avverate. Questa, per inciso, è la ragione della profonda crisi del Marxismo europeo contemporaneo. 

     Ma oggi conosciamo anche della triste fine dello Stato socialista, autoliquidatosi per effetto di processi esclusivamente interni, che hanno portato il sistema del nazional-bolscevismo alla soglia fatale della perestrojka borghese. E 40 anni prima sono crollati anche gli altri sistemi non capitalisti d'Europa - l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista. Così, alla fine del XX secolo, il Capitale ha sconfitto il Lavoro in tutte le sue manifestazioni ideologiche - siano esse il Marxismo ortodosso (nella forma delle socialdemocrazie europee), la versione nazional-bolscevica dei Soviet, o i vari tipi di varianti molto approssimative, incerte, frutto di compromessi, dei regimi europei della cosiddetta "Terza Via". 

     Questa vittoria del Capitale sul Lavoro mostra inoltre l’alto grado di consapevolezza di quel polo storico, che ha saputo, costantemente e coerentemente nel tempo, mantenersi aderente al suo obiettivo primario e che è pronto a trarre insegnamenti dai modelli concettuali e dalla prassi del nemico - studiandone ed ammettendone nella pratica modelli e paradigmi, rivelati dal genio rivoluzionario, a fine di prevenzione. 

     Dopo Marx, il campo del Lavoro a livello politico ed economico globale si è diviso in tre fronti minori, disarmonici ed in conflitto reciproco - socialismo Sovietico (nazional-bolscevismo), socialdemocrazia occidentale e (con alcune riserve) fascismo. Il campo del Capitale è rimasto essenzialmente indiviso ed ha sapientemente  sfruttato le contraddizioni fra le ideologie del Lavoro. 

     Così, invece di un partito rivoluzionario proletario comunista unito, in un momento cruciale della storia dell'Occidente borghese, si sono venute a formare: in primo luogo, organizzazioni bolsceviche pro-Sovietiche improntate al radicalismo, sotto il controllo del Komintern (ma geopoliticamente legate a Mosca, capitale della Terza Internazionale, e disposte ad eseguirne il volere); in secondo luogo, i partiti socialdemocratici autoctoni, in lotta con le forze pro-Moscovite per l'egemonia nei circoli proletari; in terzo luogo, i movimenti nazional-socialisti, che hanno applicato l'esperienza nazional-bolscevica di Mosca (ma in una variante molto meno rigorosa) al loro proprio contesto nazionale. 

     La strategia del Capitale è consistita nell'opporre in tutti i modi l’una all’altra le tre tendenze in cui si sono espresse ideologicamente le forze del Lavoro, nell'evitare ad ogni costo il loro consolidamento in un unico organismo storico socio-politico unitario. A tal fine, Socialdemocrazia e Bolscevismo furono opposti al fascismo, il fascismo stesso alla Socialdemocrazia e al Bolscevismo. Le fasi di maggior successo di questa strategia furono il "fronte popolare" in Francia all'epoca di Léon Blum e il rapporto di alleanza dell'URSS con l'Inghilterra e gli USA nel corso della guerra contro le potenze dell'Asse. 

     D'altra parte, i socialdemocratici occidentali - in quanto non seguaci dell'ortodossia Marxista nazional-bolscevica - furono attivamente attirati nel collaborazionismo politico con il sistema borghese tramite la rappresentanza parlamentare, vennero corrotti dalla cooperazione con il Sistema e vennero simultaneamente contrapposti agli "agenti di Mosca" dei partiti bolscevichi Leninisti (le politiche di Karl Kautsky sono il più significativo esempio in tal senso). 

     E infine, nel quadro dello Stato Sovietico stesso il nazional-bolscevismo non subì una formazione dottrinale coerente e completa tale da tradursi in ideologia compiuta e non contraddittoria; un'ideologia con i puntini sulle "i", nella quale si stabilissero criteri rigorosi rispetto all'eredità di Marx (guanto andasse accettato, quanto invece respinto). In luogo di tale correzione, gli ideologi Sovietici continuarono ad insistere nell'identificazione del Leninismo quale semplice Marxismo ortodosso adeguato, negando ogni evidenza e perdendo irrevocabilmente ogni potenzialità di riflessione conoscitiva  coerente. 

     In luogo del chiaro, univoco quadro dell'opposizione fra Lavoro e Capitale nella forma del sistema socialista Sovietico, da un lato, e dei Paesi dell'Occidente capitalista, dall'altro, emerse un mosaico frammentario, nel quale il fattore estremamente negativo fu il fatto stesso dell’esistenza di regimi fascisti compromissori (sul piano politico ed economico) e di una socialdemocrazia conciliante e collaborazionista. La componente intermedia, fascista e socialdemocratica, ostruì permanentemente la via al processo di formazione di un partito comunista proletario internazionale unito, che avrebbe dovuto tenere in conto l'intera esperienza ideologica e spirituale della Rivoluzione Russa. 

     Questo fu il fattore esterno. Il fattore interno è consistito nella rinuncia del sistema Sovietico stesso a trarre le più importanti conclusioni ideologiche (incluse le necessarie correzioni alle opinioni culturali e filosofiche di Marx) dal proprio stesso successo, il che a sua volta avrebbe agevolato il dialogo costruttivo con il fascismo - specie nella sue versione estrema di sinistra. Infine, la stessa Socialdemocrazia occidentale, anziché scegliere il patto "frontista" antifascista al fianco delle forze e dei regimi borghesi radicali, avrebbe potuto optare per una mutua intesa con i socialisti ad orientamento nazionale all'interno del blocco anti-borghese. 

     Per loro essenza anticapitalisti, bolscevismo Sovietico, Socialdemocrazia Europa e persino fascismo avrebbero dovuto convergere su una piattaforma ideologica unitaria, in un punto intermedio fra l’evidente sopravvalutazione di Marx da parte dei seguaci ortodossi e la sua palese sottovalutazione da parte del fascismo. Tale ipotetica ideologia – un certo nazional-marxismo assolutizzato ed universale, una volta presi in considerazione fattori nazionali, religiosi, spirituali insieme con il giustissimo e geniale paradigma storico di Marx - è il nazional-bolscevismo nella sua realizzazione storica ideale, ed avrebbe potuto essere quella efficace base socioeconomica, in cui il principio del Lavoro si sarebbe incarnato nella sua forma più perfetta. Ma questo, purtroppo, appare evidente solo a posteriori, quando è possibile sintetizzare ed analizzare quella grande catastrofe storica. Il Capitale in quanto soggetto si è rivelato non solo più forte, ma anche più intelligente del Lavoro in quanto soggetto. Esso non ha consentito la piena realizzazione storica dello "spirito-fantasma-ombra del comunismo", condannandolo a restare fantasma in perpetuo. E' tragico rendersene conto. Ma, dal punto di vista epistemologico, dal punto di vista della generazione di paradigmi storici significativi, tali da permetterci di chiarire in quale momento storico ci troviamo, è difficile sottostimare tale conclusione.
     
     
     

    Il paradigma geopolitico della storia 


     La riduzione geopolitica è assai meno nota del modello economico; la sua chiarezza e capacità persuasiva sono nondimeno comparabili con il paradigma Lavoro-Capitale. Anche in geopolitica troviamo la coppia teleologica di nozioni rappresentative del soggetto della storia, ma stavolta colte non nel loro aspetto economico, bensì nell'aspetto della geografia politica. La questione verte sui due soggetti geopolitici - il Mare (Talassocrazia) e la Terra (Tellurocrazia). L'altra coppia è il loro sinonimo, Occidente-Oriente, dove Occidente e Oriente siano considerati non in quanto semplici nozioni geografiche, ma in quanto blocchi di civiltà. L’Occidente, secondo la dottrina geopolitica, equivale al Mare, l’Oriente alla Terra. 

     Al momento attuale, siamo interessati alla sintesi della storia, convertita nei termini geopolitici, al punto di vista escatologico, così chiaramente visibile al livello economico. Là il problema era formulato nel modo seguente: il Lavoro ha dato battaglia al Capitale, ed ha perduto. Viviamo nel periodo di questa sconfitta, periodo che la scuola economica liberale considera come quello finale - da cui la tematica della "Fine della Storia" di Fukuyama, o del precedente "Formazione del denaro" di Jacques Attali. E' possibile rilevare qualche analogia con una situazione simile in geopolitica? E' sorprendente, ma tale analogia non soltanto esiste, ma è anche a tal punto evidente e ovvia, da permetterci di avvicinarci a conclusioni di grande interesse. 

     La dialettica geopolitica consiste nella lotta dinamica di Mare e Terra. Il Mare, la civiltà del Mare, sono l'incarnazione della mobilità permanente, del "fluire", dell'assenza di un centro stabile. I soli confini reali del Mare sono le masse continentali ai suoi estremi, ossia qualcosa di opposto al Mare stesso. La Terra, la civiltà della Terra, al contrario, è l'incarnazione della costanza, della stabilità, del "conservativismo". I confini della terra possono essere rigorosamente definiti, in termini naturali, in vari luoghi della Terra stessa. E soltanto la civiltà della Terra offre salde fondamenta a stabili sistemi di valori sacri, giuridici ed etici. 

     La Terra (l'Oriente) è gerarchia. Il Mare (Occidente) è caos.  La Terra (Oriente) è ordine. Il Mare (Occidente) è dissoluzione. la Terra (Oriente) è il principio maschile, Il Mare (Occidente) quello femminile. La Terra (l'Oriente) è Tradizione. Il Mare (Occidente) è contemporaneità. E così via. Questi due soggetti della storia geopolitica tendono alla più completa e distinta manifestazione, a partire dal complesso sistema multipolare delle contraddizioni (spesso parziali e riconciliabili), fino allo schema globale dei blocchi. 

     Mare e Terra sono pervenuti a scala planetaria solo nel XX secolo, ed in particolare nella sua seconda metà, quando i contorni del modello bipolare si sono finalmente delineati. Il Mare ha trovato la sua espressione finale negli USA e nella NATO, la Terra si è incarnata nel conglomerato dei Paesi socialisti - l'Organizzazione del Patto di Varsavia. La divisione tecnologica del pianeta in due campi - ciascuno dei quali era la forma più pura della rispettiva civiltà geopolitica  - ha avuto luogo. La civiltà del Mare si è mossa nel corso della storia in direzione degli USA e dell'Atlantismo - anche se questo movimento è stato tutt'altro che rettilineo. La civiltà della Terra si è incarnata nella sua forma più compiuta nell'URSS. L'Atlantico e l'Eurasia sono divenute entità strategicamente integrate, e le tendenze geopolitiche latenti, brillantemente riconosciute da Mackinder sulla base della logica storica dei grandi spazi continentali, hanno raggiunto la massima scala e la superiore evidenza della "Guerra Fredda". 

     Ma al punto culminante della storia geopolitica del XX secolo, una svolta è intervenuta - una svolta che per qualche tempo  ha intorbidato la chiara logica della scienza geopolitica. L'emergenza nell'Europa degli anni '20-30 di un blocco strategico separato - i Paesi dell’Asse - fu il principale ostacolo a frenare l’ascesa della civiltà della Terra al rango di soggetto geopolitico organico e porre le basi della futura sconfitta. 

     Respingendo l’evidenza e le raccomandazioni dalle scuole scientifiche, i Paesi dell’Asse tentarono di rivendicare la propria indipendenza geopolitica ed autarchia. Il fascismo europeo fu, dal punto di vista geopolitico, l'ostacolo alla naturale espansione Eurasiatica dei Sovietici in direzione occidentale, ma anche il rifiuto al semplice allineamento alla strategia Atlantica. 

     Questa ambiguità incrinò seriamente la cristallizzazione del quadro mondiale bipolare e fu causa di conflitti a livello intercontinentale, per effetto dei quali la Terra Eurasiatica vide frenata la propria tendenza a costituirsi come soggetto ed crearsi una propria strategia geopolitica coerente. 

     Il fascismo europeo soggiacque all'irresponsabile (e fallimentare, in senso geopolitico) illusione di una comunanza di interessi fra Mare e Terra di fronte ad un terzo soggetto - il quale, dal punto di vista della dottrina geopolitica, era del tutto fittizio, non disponendo delle “dimensioni” geopolitiche, geografiche, storiche e culturali necessarie. L’Europa (fascista o meno) ha solo due opportunità geopolitiche - essere l’avamposto occidentale dell’Oriente (come fu, ad esempio, il caso dell'Impero Romano Ortodosso prima dello scisma nella Cristianità), ovvero essere la zona costiera strategica sotto il controllo del Mare, in opposizione alle massa continentali dell’Eurasia. La strategia dell'Asse non fu né l'una né l'altra. La futura sconfitta della Germania divenne evidente già nel momento in cui iniziò la guerra su due fronti. Un'impresa così perversa rappresentò non soltanto un suicidio per la Germania (e, su scala più vasta, per l'Europa), ma anche l'origine delle fondamenta geopolitiche incompiute dell'intero continente Eurasiatico; il che infine condusse alla distruzione e al collasso di tutta la civiltà della Terra. 

     Quest'ultima indicazione si basa sulla brillante analisi della crisi dell'URSS e del Patto di Varsavia che dobbiamo a Jean Thiriart, un’analisi risalente a 20 anni prima del crollo del blocco sovietico. Thiriart dimostrò che, geopoliticamente, lo spazio strategico controllato dal campo socialista era incompiuto e non avrebbe sostenuto a lungo lo scontro con l’Occidente. Nel suo pensiero, il motivo principale era la divisione dell’Europa, che avvantaggiava le potenze Atlantiche a scapito dell’URSS. Thiriart riteneva che, per risolvere questo difficile problema, ereditato dalle politiche suicide di Hitler, sarebbe stata necessario o conquistare dell’Europa Occidentale annettendola al campo socialista, oppure, al contrario, puntare alla ritirata delle basi strategiche e truppe dell'URSS in Europa con il parallelo scioglimento della NATO e la rimozione di tutte le basi strategiche americane. Questa creazione di uno spazio neutrale in Europa avrebbe consentito a Mosca di concentrarsi sulla direttrice meridionale e condurre la battaglia decisiva con gli USA in Afghanistan, nel Medio ed Estremo Oriente. 

     Ma la civiltà del Mare aveva studiato con la massima attenzione le teorie geopolitiche di Mackinder e Mahan: non soltanto aveva verificato la sua strategia con loro, ma aveva compreso perfettamente la gravità della minaccia della progressiva integrazione del continente Eurasiatico sotto la protezione Sovietica, e prese le contromisure necessarie ad impedirla. Ed ancora una volta, come nel caso della lotta fra Lavoro e Capitale, non si trattò solamente dell'azione delle forze storiche oggettive, ma si assistette al diretto ed attivo intervento del fattore soggettivo - gli agenti dell’Occidente fecero del loro meglio per non consentire la realizzazione del “Blocco Continentale”, quel patto Berlino-Mosca-Tokyo il cui progetto era stato a suo tempo avanzato dall'eminente geopolitico tedesco Karl Haushofer. In parallelo con lo sviluppo delle ricerche geopolitiche, il Mare si assicurò un apparato intellettuale e concettuale logico ed efficace, con il quale agire sul corso della storia non solo inerzialmente, ma consapevolmente. 

     La fine del blocco Sovietico, il crollo e la disintegrazione dell'URSS significa, in termini geopolitici, la vittoria del Mare sulla Terra, della Talassocrazia sulla Tellurocrazia, dell’Occidente sull’Oriente. E nuovamente, come nel caso della coppia Lavoro-Capitale, assistiamo nella storia del XX secolo alla distinzione teleologica di due soggetti geopolitici importantissimi, in precedenza non manifesti, Mare e Terra, assistiamo al loro duello planetario e alla vittoria finale del Mare, dell'Occidente. 

     Se poniamo a raffronto il caso della riduzione economica con il modello di spiegazione storica geopolitica, la nostra attenzione viene subito arrestata da un'evidente parallelismo, riscontrabile in tutte le fasi di entrambi gli aspetti storici. Sembra che una medesima traiettoria sia ripetuta a livelli differenti, paralleli, non direttamente associati l'uno all'altro. Si offre quindi, spontaneamente, la seguente analogia:

           Destino del Lavoro  =  Destino della Terra, dell’Oriente. 

           Destino del Capitale  =  Destino del Mare, dell’Occidente.

     Il lavoro è fisso, il Capitale è liquido. Il Lavoro-Oriente è creazione di valori, sorgere ("l'Oriente", Vostok, significa letteralmente "sorgere" in russo antico), il Capitale-Occidente è sfruttamento, alienazione, la Caduta delle cose ("Occidente", Zapad, significa letteralmente "cadere" in russo). 

     La civiltà del Mare è la civiltà del liberalismo. La civiltà della Terra è la civiltà del socialismo.

     Eurasia, Terra, Oriente, socialismo, è la sequenza dei sinonimi. Atlantismo, Mare, Occidente, Capitale, liberalismo, mercato - anche questa è una sequenza di sinonimi. La comparazione di politica economica e geopolitica ci mostra un quadro concettuale di inconsueta armonia. 

     "Fine della Storia", in termini geopolitici, significa "fine della Terra", "fine dell'Oriente". Non ricorda forse il simbolismo Evangelico del Diluvio? 
     

    La guerra delle nazioni 


     Un altro modello storico interpretativo è costituito dalla varie teorie etniche, che considerano le nazioni, talvolta le razze, a volte una sola nazione in opposizione a tutte le altre, come principale soggetto della storia. In questa sfera la varietà delle versioni è innumerevole. Un tedesco, Herder, fu il più illustre teorico dell'approccio etnico; le sue idee furono sviluppate dai Romantici tedeschi, poi in parte prese a prestito da Hegel, infine applicate dai rappresentanti della "Rivoluzione Conservatrice" tedesca, specie dall'

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