Цели «Евразийского Движения»:
- спасти Россию-Евразию как полноценный геополитический субъект
- предотвратить исчезновение России-Евразии с исторической сцены под давлением внутренних и внешних угроз --
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L’analisi delle civiltà, delle loro
correlazioni, del loro confronto, del loro sviluppo,
della loro interdipendenza, è un problema talmente
difficile che, a seconda del metodo impiegato e del
livello di approfondimento della ricerca, è possibile
ottenere risultati non solo differenti ma assolutamente
opposti. Pertanto, persino per ottenere la più
approssimativa delle conclusioni, si deve applicare il
metodo riduzionista: vale a dire, ridurre la varietà dei
criteri ad un unico modello semplificato.
Il marxismo
preferisce il semplice approccio economico, che diventa
il sostituto ed il comune denominatore di tutte le altre
discipline. Lo stesso compie (seppure in modo meno
esplicito) il Liberalismo.
La geopolitica, che rispetto alla varietà degli
approcci economici è un metodo meno conosciuto e meno
popolare, ma non meno efficace ed evidente nello
spiegare la storia delle civiltà, suggerisce un metodo
di riduzione qualitativamente diverso. Un altra versione
del riduzionismo sta nelle diverse forme di approccio
etico, che comprende le “teorie razziali” come suo
aspetto estremo.
Infine, le religioni suggeriscono il loro
proprio modello riduzionista della storia delle
civiltà.
Questi quattro modelli sembrano essere i modi
più famosi di generalizzazione; sebbene esistano diversi
altri modelli, è ben difficile che questi possano
reggere il confronto con i primi per popolarità,
evidenza e semplicità.
Dato che la nozione di “civiltà” presenta una
scala estremamente ampia – forse la maggiore scala che
la coscienza storia dell’umanità sia in grado di
generare – i metodi riduzionisti dovrebbero essere
estremamente approssimativi, lasciando da parte
dettagli, fattori intermedi e di minore importanza. Sono
civiltà quelle aggregazioni umane che hanno vastissimi
confini spaziali, temporali e culturali. In base alla
definizione, le civiltà dovrebbero possedere una
dimensione significativa – dovrebbero durare a lungo,
controllare rilevanti regioni geografiche, generare
stili culturali e religiosi (ideologici, a volte) di
particolare espressività.
Alla fine del secondo millennio A.D., un
qualche rendiconto della storia delle civiltà sembra
rendersi di per sé necessario, in quanto la data stessa
suggerisce il raggiungimento di una soglia, di un
limite. E da qui sorge l’idea di riportare i differenti
indirizzi di analisi delle civiltà all’unico, universale
paradigma. Certo, il grado di semplificazione,
approssimazione e riduzione sarà qui ancora maggiore,
rispetto ai quattro modelli riduzionisti sopra
menzionati; ma questo non dovrebbe essere considerato un
ostacolo insormontabile. Qualsiasi generalizzazione
(felice o meno, giustificata o meno) necessariamente
avrà la meglio della critica più aspra, provenga questa
da “iperspecialisti” che abbiano da tempo dimenticato i
princìpi primordiali nel turbine dei dettagli, o dai
seguaci (consapevoli o istintivi) di una qualche altra
forma generalizzazione, che si limitino pragmaticamente
ad usare le contraddizioni minori per screditare la
totalità.
Comunque sia, tematiche quali la “Fine della
Storia” (Francis Fukuyama), lo “Scontro delle Civiltà”
(Samuel Huntington), il “Nuovo Ordine Mondiale” (George
Bush), il “Nuovo Paradigma” (New Age), il “Tempo del
Messia”, la “Fine dell’Utopia”, il “Paradiso
Artificiale”, la “Cultura dell’Apocalisse” (Adam
Parfrey) acquistano popolarità maggiore via via che ci
approssimiamo al confine del secolo – al confine del
millennio. E queste tematiche si avvalgono tutte, in
grado maggiore o minore, di complessi modelli
riduzionisti, che sono a loro volta il frutto del far
confluire assieme metodi più ristretti – anzitutto i
quattro sopra citati.
Il vero Marxismo
La dottrina di Marx è stata talmente
popolare nel XX secolo, che è realmente arduo parlarne –
specie in Russia, dove il Marxismo è stato proclamato
per molti decenni ideologia ufficiale. La questione si
presenta allo stesso modo, morboso e saturo di allusioni
e connotazioni, anche per gli intellettuali occidentali,
per i quali dispute e dibattiti su Marx furono il tema
centrale del discorso filosofico e “culturologico”.
Nessuno ha tanto influenzato la storia moderna quanto
Marx – è difficile menzionare un pensatore a lui
comparabile per fama, popolarità e livello di
circolazione editoriale.
Ma l’eccessivo sfruttamento del Marxismo ha
condotto, ad un certo momento, al risultato contrario –
le sue idee, le sue dottrine apparvero a tal punto
universali che da qual punto in avanti si smise di
comprenderle, si tramutò il Marxismo in un “dogma”, in
un gadget, in un oscuro cliché, da usare ed interpretare
in modo assolutamente arbitrario. I Marxisti Ortodossi
bloccarono la riflessione in quella sfera, canonizzarono
i punti di vista di Marx persino in quelle sfere dove
essi erano stati palesemente contraddetti dal corso
stesso della Storia (economica come politica). Eretici e
revisionisti ampliarono eccessivamente il contesto del
Marxismo, includendovi idee e teorie che, rigorosamente
parlando, non hanno relazione con esso. In breve tempo
arrivammo alla paradossale situazione per cui il
pensatore più popolare e famoso era divenuto
inintelligibile alla maggior parte delle persone. Alla
fin fine, il nodo gordiano del Marxismo fu troncato tout
court con il dichiarare filosofia ed economia politica
Marxista una “delusione, e con il conseguente,
universale abbandono dell’ideologia.
L’eccesso di lodi e dogmatismo si trasformò
analogamente in eccesso di sovvertimento e
relativizzazione. Con la stessa rapidità,
quell’imponente edificio del Marxismo, cui tutti avevano
guardato, fu improvvisamente liquidato in ogni sua
parte. E i più zelanti liquidatori furono le forze
responsabili della creazione del culto alienante e
dogmatico di Marx. In ogni caso, al giorno d’oggi le
idee di Marx non hanno praticamente sostenitori, ma non
per questo esse sono meno profonde e sorprendentemente
esatte nel chiarire determinate questioni. Sta
realizzandosi una situazione in cui il Marxismo, avendo
a poco a poco perduto la totalità dei suoi seguaci, può
essere applicato da forze totalmente differenti, che si
erano tenute a distanza dal Marxismo al tempo in cui
dominava la mischia intellettuale e politica attorno al
nome e alle idee di Marx.
Questa distanza, questo disimpegno da questo o
quello schieramento Marxista nella precedente fase della
storia intellettuale, consentono di riscoprire Marx, di
leggere il suo messaggio in maniera prima impossibile.
E’ assolutamente ovvio, che la gran parte delle opinioni
culturali e storiche di Marx è irrimediabilmente
obsoleta, e che vari aspetti della sua dottrina
dovrebbero essere respinti in quanto inadeguati.
Tuttavia, è più importante considerare con imparzialità
quegli aspetti della sua dottrina che, viceversa, hanno
serbato intatta la loro attualità, e che possono esserci
di aiuto nel comprendere gli aspetti principali del
paradigma storico nella sua chiave economica, sociale e
politica. E in questo nessuno può essere paragonato a
Marx. E’ precisamente lui ad aver formulato il paradigma
riduzionista più capace della storia, in grado di
spiegarne il processo essenziale e gli orientamenti con
sorprendente affidabilità, evidenza e persuasività.
Pertanto, non è fuori luogo ricordare i princìpi
Marxisti di comprensione della formula storica.
L’approccio marxiano alla storia è dialettico,
presupponendo lo sviluppo dinamico delle correlazioni
fra i principali soggetti del divenire storico. Insieme
a questo, il fondamentale dualismo di quei soggetti è
visibile attraverso la sua teoria, ne predetermina le
dialettiche, costituisce il suo contenuto e la base
etica del suo svolgersi.
Questi due soggetti furono definiti da Marx
come Lavoro e Capitale. Marx considerò il Lavoro come
l’impulso creativo costruttivo, come l’asse centrale
della vita e del movimento, come un principio positivo,
solare. Impiegando espressioni darwiniane immaginifiche,
il Marxismo afferma che “il Lavoro creò l’Uomo dalla
scimmia”. Il punto è che l’elemento creativo è quello
stesso vettore di esistenza che trasforma il processo
dallo stato orizzontale, interno, a quello verticale,
volizionale.
Il Lavoro, secondo Marx, è un principio
positivo, luminoso. Estraneo all’etica della Bibbia,
dove il lavoro rappresenta il risultato della Caduta e
di una sorta di dannazione di Adamo per aver violato i
comandamenti divini (una simile attitudine nei confronti
del Lavoro è caratteristica anche di altre tradizioni
religiose), Marx senza dubbio proclamò il carattere
sacro, integralmente positivo del Lavoro, la sua natura
primaria, il suo carattere di valore in sé,
autosufficiente. Ma nel suo stato primordiale il Lavoro,
in quanto impulso primario allo sviluppo e punto di
partenza della Storia (al pari dell’Idea Assoluta di
Hegel) non realizza ancora se stesso, non riesce a
conseguire la completezza della sua inerente natura
luminosa.
Per raggiungere ciò, è necessario il lungo e
complesso processo di movimento attraverso i labirinti
della dialettica storica. Solo dopo prove tremende e
terribili fatiche, il Lavoro sarà in grado di pervenire
al suo stato trionfante, vittorioso nel corso di una
serie di autonegazioni dialettiche, divenendo
completamente cosciente, felice e libero. Secondo Marx,
la storia intera è racchiusa nell’intervallo fa il
“comunismo delle caverne” – lo stato primordiale, nel
quale il Lavoro era libero, ma irrealizzato e non
universale – e il comunismo puro e semplice, quando esso
fa ritorno al suo carattere luminoso, autosufficiente,
avendo percorso il labirinto dell’alienazione ma essendo
infine giunto alla sua estensione totale, universale e
pienamente realizzata. L’uomo divenne uomo dopo essersi
calato nell’elemento del Lavoro. Ma diviene uomo
completo solo dopo che sia capace di realizzare il
valore assoluto di quell’elemento, liberandolo da tutte
le impurità del principio negativo – ossia nell’epoca
del comunismo.
Qual è dunque, secondo il Marxismo, il polo
negativo? Che cosa si oppone alla natura luminosa del
Lavoro?
Marx lo chiama “sfruttamento”, e istintivamente
svela la forma suprema e perfetta di tale sfruttamento
nel Capitale. Capitale è per il Marxismo il nome del
male del mondo, del principio oscuro, del polo negativo
della storia. Fra il “comunismo delle caverne” dell’uomo
al suo primo apparire, e il comunismo finale, sta il
lungo periodo dello “sfruttamento”, dell’alienazione del
Lavoro dalla sua propria essenza, delle prove e
privazioni del sole attraverso i labirinti
dell’oscurità. E’ questa, in senso proprio, la sostanza
della storia.
Il Capitale non compare improvvisamente, esso
si palesa gradualmente via via che gli strumenti ed i
meccanismi dello sfruttamento dell'elemento luminoso del
Lavoro da parte della forze oscure degli usurpatori si
perfezionano. Lo sviluppo del Lavoro contribuisce allo
sviluppo dei modelli di sfruttamento.
La complicata dialettica delle forze produttive
e della costante dinamica dei rapporti di produzione
conduce entrambi i poli della storia economica lungo la
spirale dello sviluppo. Gli scopi opposti, gli scopi ed
i vettori di attività dei lavoratori e degli sfruttatori
promuovono oggettivamente lo sviluppo di un unico
processo, politico ed economico. I rapporti di
produzione sono il modello dell'interazione fra quella
struttura di base sottomessa ed il principio dello
sfruttatore. L'elemento del Lavoro è l'elemento
dell'abbondanza. Il Lavoro produce sempre qualcosa di
più rispetto a quanto sia necessario per soddisfare le
necessità vitali dei lavoratori stessi. In questo fatto
sta l'essenza del suo principio positivo, creativo,
luminoso, solare. Il lavoro produce un plus. Questo
plus, questo surplus viene sottratto dal polo oscuro, il
parassita della storia. Lungo l'intero corso della
storia economica, i rapporti di produzione sono ridotti
all'espropriazione di qualche sostanza dagli agenti del
plus da parte degli agenti del minus. Ma sin dai primi
stadi della storia umana è possibile svelare alcuni
caratteri specifici delle due entità, caratteri che
verranno a scontrarsi con tutta la loro potenza solo
alla fine della storia stessa.
Il lavoratore primordiale è il germe del
proletariato industriale. L'élite tribale è il germe del
Capitale. Con il trascorrere dei millenni della storia
umana, i due soggetti del dramma mondiale pervengono al
loro stato di massima purezza, di piena realizzazione,
nel quale si riassumono tutti gli stati precedenti. Dal
sistema della proprietà schiavista, poi attraverso i
rapporti feudali, si viene formando il capitalismo, lo
stadio più importante, ed in molti rispetti
escatologico, della dottrina Marxista. Qui tutta la
complessità del quadro sociale è ridotta ad un dualismo
di chiarezza assoluta - il proletariato, in quanto
classe, è l'incarnazione del risultato dello sviluppo
economico e storico dell'elemento Lavoro, e la borghesia
concentra in sé il polo assoluto, più perfetto, completo
e cosciente del puro sfruttamento. Il polo luminoso
conclude la sua tragica traversata lungo i labirinti
dell'alienazione, il polo oscuro si avvicina alla sua
completa vittoria. Il Proletariato e il Capitale. Il
Puro Lavoro, ossia il proletariato che non ha proprietà
("tranne le proprie catene") - il Puro Capitale,
trasformatosi da ciò che è posseduto a ciò che possiede,
nell'elemento della Pura Alienazione, dello Sfruttamento
Assoluto. Marx riduce tutti i restanti problemi -
storici, filosofici, culturali, sociali, scientifici e
tecnici - a questo schema politico ed economico,
considerandoli come derivati e secondari rispetto al
paradigma fondamentale.
Inoltre, Marx afferma che la seconda
rivoluzione industriale, con la quale il capitalismo
perviene al suo apice, è il punto di svolta della storia
mondiale. Da quel momento in avanti, ambedue i soggetti
storici - Lavoro e Capitale - vengono ad essere non più
i semplici burattini della logica storica obiettiva, ma
i suoi soggetti coscienti ed autonomi, capaci non
soltanto di piegarsi alla necessità, ma anche di guidare
i più importanti processi storici, di provocare,
progettare, affermare il proprio volere autonomo. Non si
tratta di un individuo o di un gruppo, ma di un soggetto
di classe. Il proletariato, divenuto classe, assume la
personalità storica del Lavoro, l'erede del plus in
tutti i suoi stadi di sviluppo. Il Capitale incarna il
mondo del minus, della sottrazione, dell'alienazione, ma
soltanto nel suo stato assoluto, libero, volizionale,
personale. Di conseguenza è capace di progettare la
storia, di guidarla. A questo stadio, Lavoro e Capitale
accedono al livello di idea o ideologia, esistono da qui
in avanti non solo nella sostanza oggettiva della
realtà, ma anche nello spazio ideologico del
pensiero.
L'ingresso di queste due personalità nella
sfera del pensiero rivela pienamente il dualismo
essenziale anche di questa sfera - esiste il pensiero
del Lavoro ed il pensiero del Capitale, esiste
l'ideologia del plus e quella del minus. Entrambe queste
ideologie ricevono il massimo possibile di indipendenza
e libertà, e l'intera sfera della coscienza si trasforma
da sfera della riflessione a sfera della creatività e
della progettualità. L'ideologia del Lavoro (la
filosofia proletaria) conserva anche qui il suo
carattere creativo: essa crea il progetto. L'ideologia
del Capitale (filosofia borghese) resta essenzialmente
negativa - essa usurpa e ri-produce il vuoto,
concettualizza l'immobilismo, congela la vita, postula
il momento presente e nega il fine.
La formula suprema e perfetta del Capitale è,
secondo Marx, l'economia politica liberale inglese -
specie il "libero cambio" ed il "mercato universale" di
Adam Smith e dei suoi seguaci. Ma al di là di questa
forma più evidente, esiste la varietà delle più sottili,
complicate, complesse costruzioni ideologiche che celano
il letale, parassitico respiro del Capitale. La
filosofia borghese diviene da qui in avanti la più
efficace arma dello sfruttamento, la sua forma
superiore.
Ma, a controbilanciarla, viene formandosi il
corpo dottrinario della classe lavoratrice stessa, i
contorni principali dell'ideologia comunista si fanno
sempre più chiari. Marx considerò la sua stessa opera
precisamente in questo contesto. Presentiva che le sue
idee avrebbero formato la "filosofia proletaria", che
sarebbero divenute il più importante strumento del
Lavoro nel corso della sua escatologica battaglia finale
contro l’avversario primordiale.
Marx proclamò una sorta di "Vangelo del
Lavoro". Affermò che il Lavoro, giunto al punto di
svolta della sua storia politica ed economica, divenuto
il Puro Lavoro, avrebbe dovuto temporaneamente
realizzare se stesso e la sua storia, iniziare a
svolgere la funzione di uno solo dei due poli
teleologici della storia, svelare il meccanismo
dell'inganno e dell'alienazione alla base di ogni
sfruttamento, smascherare la funzione negativa,
vampiresca, di minus, del Capitale (con la spiegazione
della produzione di plusvalore e della logica
dell'espropriazione) e condurre a termine la Rivoluzione
proletaria, che avrebbe rovesciato il Capitale,
gettandolo nell'abisso della non-esistenza, e sradicato
il male del mondo.
Dopo la breve fase caratterizzata da una
formazione transitoria (socialismo), sarebbe sorto il
"Paradiso in Terra", il Lavoro si sarebbe completamente
liberato del principio oscuro. Ecco delineata l'essenza
del modello politico ed economico Marxista. Un modello -
occorre ammetterlo - talmente persuasivo e solido, che
non sorprende che le idee di Marx abbiano attratto una
così grande massa di persone del ventesimo secolo,
divenendo una sorta di religione, nel cui nome sacrifici
senza precedenti sono stati compiuti.
In che modo lo scenario di Marx si è realizzato
nella pratica? Cosa vi era in esso di inesatto, che cosa
è stato smentito? Come va considerato il contenuto della
storia politica ed economica del nostro secolo, se
vogliamo restare nell'ambito della filosofia Marxista
della storia, quale l'abbiamo tratteggiata in
precedenza?
Alla soglia del terzo millennio, possiamo
affermarlo, il Capitale ha sconfitto il Lavoro, si è
dimostrato capace di sottrarsi alla Rivoluzione
imminente, dissolvere la compiuta manifestazione storica
del Lavoro quale soggetto rivoluzionario, sventare il
pericolo del concentrarsi della filosofia proletaria in
una concezione del mondo unitariamente e compiutamente
strutturata. E tuttavia il Lavoro, ispirandosi a Marx,
ha tentato di ingaggiare "l'ultima e decisiva battaglia"
con il suo primordiale nemico. Il Lavoro è stato
sconfitto, ma il fatto della grande battaglia non può
essere negato. Questa battaglia costituisce niente meno
che il contenuto principale della storia politica e
sociale del ventesimo secolo. Tutto è avvenuto secondo
la previsione di Marx, eccetto l'esito diverso, e
sfavorevole. Il male del mondo ha vinto. Il minus si è
rivelato più forte e più scaltro del plus. Il Capitale,
assunta la forma di soggetto, ha dimostrato la sua
superiorità rispetto al Lavoro, anch'esso fattosi
soggetto.
Come si sono svolte le cose nella vita
reale?
La prima non corrispondenza rispetto
all’ortodossia marxista si è verificata al momento della
rivoluzione socialista del Grande Ottobre. Questo evento
è divenuto il punto chiave della storia post-Marxista.
Da un lato, la sollevazione dei marxisti-bolscevichi ha
dimostrato che le idee di Marx sono vere e confermate
dalla pratica concreta. Il partito dei lavoratori,
proletario, comunista, è stato capace di realizzare la
Rivoluzione, rovesciare il sistema dello sfruttamento,
distruggere il potere del Capitale e della classe
borghese, costruire lo Stato Socialista, fondandosi
sulle tesi principali dello stesso Marx. Il Marxismo è
stato proclamato ideologia dominante di quello stato. In
altre parole, l'esperienza russa ha offerto la prima
conferma della giustezza ed efficacia della dottrina
rivoluzionaria Marxista. D'altro canto, nel corso della
rivoluzione russa si è manifestata una circostanza più
importante - la rivoluzione proletaria vincente non si è
avuta né dove, né quando Marx aveva previsto. L'errore
spaziale e temporale non è stato di natura quantitativa,
ma qualitativa. Pertanto, questo errore è carico di
implicazioni enormi sul piano della dottrina.
Marx supponeva che il compiuto costituirsi del
proletariato in classe e la sua formazione quale partito
rivoluzionario sarebbero avvenuti nel Paese più
sviluppato dell'Occidente industriale, vale a dire
precisamente là dove il meccanismo borghese aveva
raggiunto il suo più perfetto stadio di sviluppo , e il
proletariato industriale rappresentava la dominante
sociale di tutte le forze produttive. Marx pensava che
la rivoluzione proletaria avrebbe immediatamente
provocato una reazione a catena in altri stati e
società. Marx era certo del fatto che in altri luoghi,
spaziali e temporali, non si sarebbero potute avere
rivoluzioni socialiste, in quanto entrambi i soggetti
storici - Lavoro e Capitale - non avevano ancora
raggiunto quello stadio nel quale è possibile la piena e
adeguata transizione del materiale nell'ideale, del
soggettivo nel cosciente, della fase estrema di quello
sviluppo fondamentale nella forma adeguata di
sovrastruttura. L'esperienza russa dimostrò che la
rivoluzione socialista era possibile ed ebbe successo in
un Paese a capitalismo arretrato, molto prima del
conseguimento su vasta scala della seconda fase della
rivoluzione industriale, in un Paese con una quota di
proletariato industriale insignificante; e dopo la
vittoria dei Bolscevichi, il processo rivoluzionario non
si estese affatto all'Europa, ma rimase entro i confini
dell'ex Impero Russo. Il Lavoro si era costituito in
partito politico ed aveva sconfitto il Capitale in
condizioni totalmente diverse da quelle previste da
Marx.
In altri termini, l'evento storico della
Rivoluzione in Russia ha corretto la teoria del
suo padre spirituale. Il senso di questa correzione
storica viene colto al meglio nella ricerca sul fenomeno
del nazional-bolscevismo, analizzato in dettaglio da
Mikhail Agursky. La rivoluzione proletaria in Russia ha
dimostrato che la vittoria del Lavoro sul Capitale è
possibile e reale solo a condizione che, al compimento
di questa azione politica ed economica, dell’aggiungersi
di altri elementi, prendano parte elementi di dimensioni
differenti - nazional-messianismo (profondamente
sviluppato fra gli Ebrei russi e dell'Europa orientale),
tendenze chiliastiche, mistiche, settarie (sia del
popolo comune, sia degli intellettuali), lo stile
cospirativo, Blanquista, tipico di un Ordine, del
partito rivoluzionario (Leninismo, più tardi
Stalinismo). Fra parentesi, un analogo insieme di
fattori, sebbene meno radicale, assicurò la vittoria di
altre forze anticapitalistiche, che furono capaci di
realizzare rivoluzioni semi-socialiste - il fascismo
italiano e il nazionalsocialismo tedesco.
In altre parole, il Marxismo ha mostrato di
essere storicamente praticabile solo nella sua versione
eterodossa, nazional-bolscevica, alquanto differente
dalla concezione rigorosa dello stesso Marx. Esso si è
inverato solo in combinazione con altri fattori - più
specificamente, quando la dottrina politico-economica di
Marx si è combinata con tendenze culturali e religiose
molto dissimili rispetto al discorso culturale e storico
dell’autore del “Capitale”.
In contrasto con la vittoriosa realizzazione
storica del Marxismo nell'operato dei
nazional-bolscevichi, nello stesso Occidente borghese la
transizione al socialismo non ha avuto luogo nel
momento culminante dello sviluppo capitalistico, ossia
alla soglia della terza rivoluzione industriale (e ciò
si è avuto negli anni '60 e '70 del ventesimo secolo).
Mentre la versione eterodossa del Marxismo si è rivelata
praticabile, la versione ortodossa è stata rigettata
dalla storia. Il capitalismo, nella sua forma più
sviluppata, è stato in grado di superare la fase di
sviluppo per sé più pericolosa, di domare la minaccia
della ribellione proletaria e di procedere verso un
livello di esistenza persino più perfezionato - mentre
l'altro soggetto antagonista, il proletariato, in quanto
classe e in quanto partito escatologico rivoluzionario
del Lavoro, è stato abolito, disperso, volatilizzato nel
complesso sistema senza alternative della Società dello
Spettacolo (Guy Débord). In altri termini, la società
post-industriale, fattasi realtà, ha dimostrato
definitivamente che le profezie di Marx - intese nel
loro senso letterale - non si sono avverate. Questa, per
inciso, è la ragione della profonda crisi del Marxismo
europeo contemporaneo.
Ma oggi conosciamo anche della triste fine
dello Stato socialista, autoliquidatosi per effetto di
processi esclusivamente interni, che hanno portato il
sistema del nazional-bolscevismo alla soglia fatale
della perestrojka borghese. E 40 anni prima sono
crollati anche gli altri sistemi non capitalisti
d'Europa - l'Italia fascista e la Germania
nazionalsocialista. Così, alla fine del XX secolo, il
Capitale ha sconfitto il Lavoro in tutte le sue
manifestazioni ideologiche - siano esse il Marxismo
ortodosso (nella forma delle socialdemocrazie europee),
la versione nazional-bolscevica dei Soviet, o i vari
tipi di varianti molto approssimative, incerte, frutto
di compromessi, dei regimi europei della cosiddetta
"Terza Via".
Questa vittoria del Capitale sul Lavoro mostra
inoltre l’alto grado di consapevolezza di quel polo
storico, che ha saputo, costantemente e coerentemente
nel tempo, mantenersi aderente al suo obiettivo primario
e che è pronto a trarre insegnamenti dai modelli
concettuali e dalla prassi del nemico - studiandone ed
ammettendone nella pratica modelli e paradigmi, rivelati
dal genio rivoluzionario, a fine di prevenzione.
Dopo Marx, il campo del Lavoro a livello
politico ed economico globale si è diviso in tre fronti
minori, disarmonici ed in conflitto reciproco -
socialismo Sovietico (nazional-bolscevismo),
socialdemocrazia occidentale e (con alcune riserve)
fascismo. Il campo del Capitale è rimasto essenzialmente
indiviso ed ha sapientemente sfruttato le
contraddizioni fra le ideologie del Lavoro.
Così, invece di un partito rivoluzionario
proletario comunista unito, in un momento cruciale della
storia dell'Occidente borghese, si sono venute a
formare: in primo luogo, organizzazioni bolsceviche
pro-Sovietiche improntate al radicalismo, sotto il
controllo del Komintern (ma geopoliticamente legate a
Mosca, capitale della Terza Internazionale, e disposte
ad eseguirne il volere); in secondo luogo, i partiti
socialdemocratici autoctoni, in lotta con le forze
pro-Moscovite per l'egemonia nei circoli proletari; in
terzo luogo, i movimenti nazional-socialisti, che hanno
applicato l'esperienza nazional-bolscevica di Mosca (ma
in una variante molto meno rigorosa) al loro proprio
contesto nazionale.
La strategia del Capitale è consistita
nell'opporre in tutti i modi l’una all’altra le tre
tendenze in cui si sono espresse ideologicamente le
forze del Lavoro, nell'evitare ad ogni costo il loro
consolidamento in un unico organismo storico
socio-politico unitario. A tal fine, Socialdemocrazia e
Bolscevismo furono opposti al fascismo, il fascismo
stesso alla Socialdemocrazia e al Bolscevismo. Le fasi
di maggior successo di questa strategia furono il
"fronte popolare" in Francia all'epoca di Léon Blum e il
rapporto di alleanza dell'URSS con l'Inghilterra e gli
USA nel corso della guerra contro le potenze
dell'Asse.
D'altra parte, i socialdemocratici occidentali
- in quanto non seguaci dell'ortodossia Marxista
nazional-bolscevica - furono attivamente attirati nel
collaborazionismo politico con il sistema borghese
tramite la rappresentanza parlamentare, vennero corrotti
dalla cooperazione con il Sistema e vennero
simultaneamente contrapposti agli "agenti di Mosca" dei
partiti bolscevichi Leninisti (le politiche di Karl
Kautsky sono il più significativo esempio in tal
senso).
E infine, nel quadro dello Stato Sovietico
stesso il nazional-bolscevismo non subì una formazione
dottrinale coerente e completa tale da tradursi in
ideologia compiuta e non contraddittoria; un'ideologia
con i puntini sulle "i", nella quale si stabilissero
criteri rigorosi rispetto all'eredità di Marx (guanto
andasse accettato, quanto invece respinto). In luogo di
tale correzione, gli ideologi Sovietici continuarono ad
insistere nell'identificazione del Leninismo quale
semplice Marxismo ortodosso adeguato, negando ogni
evidenza e perdendo irrevocabilmente ogni potenzialità
di riflessione conoscitiva coerente.
In luogo del chiaro, univoco quadro
dell'opposizione fra Lavoro e Capitale nella forma del
sistema socialista Sovietico, da un lato, e dei Paesi
dell'Occidente capitalista, dall'altro, emerse un
mosaico frammentario, nel quale il fattore estremamente
negativo fu il fatto stesso dell’esistenza di regimi
fascisti compromissori (sul piano politico ed economico)
e di una socialdemocrazia conciliante e
collaborazionista. La componente intermedia, fascista e
socialdemocratica, ostruì permanentemente la via al
processo di formazione di un partito comunista
proletario internazionale unito, che avrebbe dovuto
tenere in conto l'intera esperienza ideologica e
spirituale della Rivoluzione Russa.
Questo fu il fattore esterno. Il fattore
interno è consistito nella rinuncia del sistema
Sovietico stesso a trarre le più importanti conclusioni
ideologiche (incluse le necessarie correzioni alle
opinioni culturali e filosofiche di Marx) dal proprio
stesso successo, il che a sua volta avrebbe agevolato il
dialogo costruttivo con il fascismo - specie nella sue
versione estrema di sinistra. Infine, la stessa
Socialdemocrazia occidentale, anziché scegliere il patto
"frontista" antifascista al fianco delle forze e dei
regimi borghesi radicali, avrebbe potuto optare per una
mutua intesa con i socialisti ad orientamento nazionale
all'interno del blocco anti-borghese.
Per loro essenza anticapitalisti, bolscevismo
Sovietico, Socialdemocrazia Europa e persino fascismo
avrebbero dovuto convergere su una piattaforma
ideologica unitaria, in un punto intermedio fra
l’evidente sopravvalutazione di Marx da parte dei
seguaci ortodossi e la sua palese sottovalutazione da
parte del fascismo. Tale ipotetica ideologia – un certo
nazional-marxismo assolutizzato ed universale, una volta
presi in considerazione fattori nazionali, religiosi,
spirituali insieme con il giustissimo e geniale
paradigma storico di Marx - è il nazional-bolscevismo
nella sua realizzazione storica ideale, ed avrebbe
potuto essere quella efficace base socioeconomica, in
cui il principio del Lavoro si sarebbe incarnato nella
sua forma più perfetta. Ma questo, purtroppo, appare
evidente solo a posteriori, quando è possibile
sintetizzare ed analizzare quella grande catastrofe
storica. Il Capitale in quanto soggetto si è rivelato
non solo più forte, ma anche più intelligente del Lavoro
in quanto soggetto. Esso non ha consentito la piena
realizzazione storica dello "spirito-fantasma-ombra del
comunismo", condannandolo a restare fantasma in
perpetuo. E' tragico rendersene conto. Ma, dal punto di
vista epistemologico, dal punto di vista della
generazione di paradigmi storici significativi, tali da
permetterci di chiarire in quale momento storico ci
troviamo, è difficile sottostimare tale conclusione.
Il paradigma geopolitico della
storia
La riduzione geopolitica è assai meno nota
del modello economico; la sua chiarezza e capacità
persuasiva sono nondimeno comparabili con il paradigma
Lavoro-Capitale. Anche in geopolitica troviamo la coppia
teleologica di nozioni rappresentative del soggetto
della storia, ma stavolta colte non nel loro aspetto
economico, bensì nell'aspetto della geografia politica.
La questione verte sui due soggetti geopolitici - il
Mare (Talassocrazia) e la Terra (Tellurocrazia). L'altra
coppia è il loro sinonimo, Occidente-Oriente, dove
Occidente e Oriente siano considerati non in quanto
semplici nozioni geografiche, ma in quanto blocchi di
civiltà. L’Occidente, secondo la dottrina geopolitica,
equivale al Mare, l’Oriente alla Terra.
Al momento attuale, siamo interessati alla
sintesi della storia, convertita nei termini
geopolitici, al punto di vista escatologico, così
chiaramente visibile al livello economico. Là il
problema era formulato nel modo seguente: il Lavoro ha
dato battaglia al Capitale, ed ha perduto. Viviamo nel
periodo di questa sconfitta, periodo che la scuola
economica liberale considera come quello finale - da cui
la tematica della "Fine della Storia" di Fukuyama, o del
precedente "Formazione del denaro" di Jacques Attali. E'
possibile rilevare qualche analogia con una situazione
simile in geopolitica? E' sorprendente, ma tale analogia
non soltanto esiste, ma è anche a tal punto evidente e
ovvia, da permetterci di avvicinarci a conclusioni di
grande interesse.
La dialettica geopolitica consiste nella lotta
dinamica di Mare e Terra. Il Mare, la civiltà del Mare,
sono l'incarnazione della mobilità permanente, del
"fluire", dell'assenza di un centro stabile. I soli
confini reali del Mare sono le masse continentali ai
suoi estremi, ossia qualcosa di opposto al Mare stesso.
La Terra, la civiltà della Terra, al contrario, è
l'incarnazione della costanza, della stabilità, del
"conservativismo". I confini della terra possono essere
rigorosamente definiti, in termini naturali, in vari
luoghi della Terra stessa. E soltanto la civiltà della
Terra offre salde fondamenta a stabili sistemi di valori
sacri, giuridici ed etici.
La Terra (l'Oriente) è gerarchia. Il Mare
(Occidente) è caos. La Terra (Oriente) è ordine.
Il Mare (Occidente) è dissoluzione. la Terra (Oriente) è
il principio maschile, Il Mare (Occidente) quello
femminile. La Terra (l'Oriente) è Tradizione. Il Mare
(Occidente) è contemporaneità. E così via. Questi due
soggetti della storia geopolitica tendono alla più
completa e distinta manifestazione, a partire dal
complesso sistema multipolare delle contraddizioni
(spesso parziali e riconciliabili), fino allo schema
globale dei blocchi.
Mare e Terra sono pervenuti a scala planetaria
solo nel XX secolo, ed in particolare nella sua seconda
metà, quando i contorni del modello bipolare si sono
finalmente delineati. Il Mare ha trovato la sua
espressione finale negli USA e nella NATO, la Terra si è
incarnata nel conglomerato dei Paesi socialisti -
l'Organizzazione del Patto di Varsavia. La divisione
tecnologica del pianeta in due campi - ciascuno dei
quali era la forma più pura della rispettiva civiltà
geopolitica - ha avuto luogo. La civiltà del Mare
si è mossa nel corso della storia in direzione degli USA
e dell'Atlantismo - anche se questo movimento è stato
tutt'altro che rettilineo. La civiltà della Terra si è
incarnata nella sua forma più compiuta nell'URSS.
L'Atlantico e l'Eurasia sono divenute entità
strategicamente integrate, e le tendenze geopolitiche
latenti, brillantemente riconosciute da Mackinder sulla
base della logica storica dei grandi spazi continentali,
hanno raggiunto la massima scala e la superiore evidenza
della "Guerra Fredda".
Ma al punto culminante della storia geopolitica
del XX secolo, una svolta è intervenuta - una svolta che
per qualche tempo ha intorbidato la chiara logica
della scienza geopolitica. L'emergenza nell'Europa degli
anni '20-30 di un blocco strategico separato - i Paesi
dell’Asse - fu il principale ostacolo a frenare l’ascesa
della civiltà della Terra al rango di soggetto
geopolitico organico e porre le basi della futura
sconfitta.
Respingendo l’evidenza e le raccomandazioni
dalle scuole scientifiche, i Paesi dell’Asse tentarono
di rivendicare la propria indipendenza geopolitica ed
autarchia. Il fascismo europeo fu, dal punto di vista
geopolitico, l'ostacolo alla naturale espansione
Eurasiatica dei Sovietici in direzione occidentale, ma
anche il rifiuto al semplice allineamento alla strategia
Atlantica.
Questa ambiguità incrinò seriamente la
cristallizzazione del quadro mondiale bipolare e fu
causa di conflitti a livello intercontinentale, per
effetto dei quali la Terra Eurasiatica vide frenata la
propria tendenza a costituirsi come soggetto ed crearsi
una propria strategia geopolitica coerente.
Il fascismo europeo soggiacque
all'irresponsabile (e fallimentare, in senso
geopolitico) illusione di una comunanza di interessi fra
Mare e Terra di fronte ad un terzo soggetto - il quale,
dal punto di vista della dottrina geopolitica, era del
tutto fittizio, non disponendo delle “dimensioni”
geopolitiche, geografiche, storiche e culturali
necessarie. L’Europa (fascista o meno) ha solo due
opportunità geopolitiche - essere l’avamposto
occidentale dell’Oriente (come fu, ad esempio, il caso
dell'Impero Romano Ortodosso prima dello scisma nella
Cristianità), ovvero essere la zona costiera strategica
sotto il controllo del Mare, in opposizione alle massa
continentali dell’Eurasia. La strategia dell'Asse non fu
né l'una né l'altra. La futura sconfitta della Germania
divenne evidente già nel momento in cui iniziò la guerra
su due fronti. Un'impresa così perversa rappresentò non
soltanto un suicidio per la Germania (e, su scala più
vasta, per l'Europa), ma anche l'origine delle
fondamenta geopolitiche incompiute dell'intero
continente Eurasiatico; il che infine condusse alla
distruzione e al collasso di tutta la civiltà della
Terra.
Quest'ultima indicazione si basa sulla
brillante analisi della crisi dell'URSS e del Patto di
Varsavia che dobbiamo a Jean Thiriart, un’analisi
risalente a 20 anni prima del crollo del blocco
sovietico. Thiriart dimostrò che, geopoliticamente, lo
spazio strategico controllato dal campo socialista era
incompiuto e non avrebbe sostenuto a lungo lo scontro
con l’Occidente. Nel suo pensiero, il motivo principale
era la divisione dell’Europa, che avvantaggiava le
potenze Atlantiche a scapito dell’URSS. Thiriart
riteneva che, per risolvere questo difficile problema,
ereditato dalle politiche suicide di Hitler, sarebbe
stata necessario o conquistare dell’Europa Occidentale
annettendola al campo socialista, oppure, al contrario,
puntare alla ritirata delle basi strategiche e truppe
dell'URSS in Europa con il parallelo scioglimento della
NATO e la rimozione di tutte le basi strategiche
americane. Questa creazione di uno spazio neutrale in
Europa avrebbe consentito a Mosca di concentrarsi sulla
direttrice meridionale e condurre la battaglia decisiva
con gli USA in Afghanistan, nel Medio ed Estremo
Oriente.
Ma la civiltà del Mare aveva studiato con la
massima attenzione le teorie geopolitiche di Mackinder e
Mahan: non soltanto aveva verificato la sua strategia
con loro, ma aveva compreso perfettamente la gravità
della minaccia della progressiva integrazione del
continente Eurasiatico sotto la protezione Sovietica, e
prese le contromisure necessarie ad impedirla. Ed ancora
una volta, come nel caso della lotta fra Lavoro e
Capitale, non si trattò solamente dell'azione delle
forze storiche oggettive, ma si assistette al diretto ed
attivo intervento del fattore soggettivo - gli agenti
dell’Occidente fecero del loro meglio per non consentire
la realizzazione del “Blocco Continentale”, quel patto
Berlino-Mosca-Tokyo il cui progetto era stato a suo
tempo avanzato dall'eminente geopolitico tedesco Karl
Haushofer. In parallelo con lo sviluppo delle ricerche
geopolitiche, il Mare si assicurò un apparato
intellettuale e concettuale logico ed efficace, con il
quale agire sul corso della storia non solo
inerzialmente, ma consapevolmente.
La fine del blocco Sovietico, il crollo e la
disintegrazione dell'URSS significa, in termini
geopolitici, la vittoria del Mare sulla Terra, della
Talassocrazia sulla Tellurocrazia, dell’Occidente
sull’Oriente. E nuovamente, come nel caso della coppia
Lavoro-Capitale, assistiamo nella storia del XX secolo
alla distinzione teleologica di due soggetti geopolitici
importantissimi, in precedenza non manifesti, Mare e
Terra, assistiamo al loro duello planetario e alla
vittoria finale del Mare, dell'Occidente.
Se poniamo a raffronto il caso della riduzione
economica con il modello di spiegazione storica
geopolitica, la nostra attenzione viene subito arrestata
da un'evidente parallelismo, riscontrabile in tutte le
fasi di entrambi gli aspetti storici. Sembra che una
medesima traiettoria sia ripetuta a livelli differenti,
paralleli, non direttamente associati l'uno all'altro.
Si offre quindi, spontaneamente, la seguente analogia:
Destino del
Lavoro = Destino della Terra,
dell’Oriente.
Destino del
Capitale = Destino del Mare,
dell’Occidente.
Il lavoro è fisso, il Capitale è liquido. Il
Lavoro-Oriente è creazione di valori, sorgere
("l'Oriente", Vostok, significa letteralmente "sorgere"
in russo antico), il Capitale-Occidente è sfruttamento,
alienazione, la Caduta delle cose ("Occidente", Zapad,
significa letteralmente "cadere" in russo).
La civiltà del Mare è la civiltà del
liberalismo. La civiltà della Terra è la civiltà del
socialismo.
Eurasia, Terra, Oriente, socialismo, è la
sequenza dei sinonimi. Atlantismo, Mare, Occidente,
Capitale, liberalismo, mercato - anche questa è una
sequenza di sinonimi. La comparazione di politica
economica e geopolitica ci mostra un quadro concettuale
di inconsueta armonia.
"Fine della Storia", in termini geopolitici,
significa "fine della Terra", "fine dell'Oriente". Non
ricorda forse il simbolismo Evangelico del
Diluvio?
La guerra delle nazioni
Un altro modello storico interpretativo è
costituito dalla varie teorie etniche, che considerano
le nazioni, talvolta le razze, a volte una sola nazione
in opposizione a tutte le altre, come principale
soggetto della storia. In questa sfera la varietà delle
versioni è innumerevole. Un tedesco, Herder, fu il più
illustre teorico dell'approccio etnico; le sue idee
furono sviluppate dai Romantici tedeschi, poi in parte
prese a prestito da Hegel, infine applicate dai
rappresentanti della "Rivoluzione Conservatrice"
tedesca, specie dall'
Телепартия
Александр Дугин: Постфилософия - новая книга Апокалипсиса, Russia.ru
Валерий Коровин: Время Саакашвили уходит, Georgia Times
Кризис - это конец кое-кому. Мнение Александра Дугина, russia.ru
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